L'apologo sull'onestà nel paese dei corrotti
di Italo Calvino
Nel 1980, Italo Calvino scrisse su La Repubblica un articolo, in forma di apologo, che all'epoca apparve misconosciuto, ma la cui grandezza è stata apprezzata a distanza di tempo.
L'apologo è un breve racconto, una "favoletta" che nell'immediato è divertente e nel profondo offre una verità, un insegnamento.
Calvino ci raccontava - prima di Sciascia, Falcone, Di Pietro, Saviano e molti altri - di come la scalata al potere si alimenta a partire dalle disponibilità finanziarie accumulate illegalmente, che sono la chiave per ottenere altri favori illeciti e così acquisire posizioni dominanti; così operando, i criminali hanno modo di arricchirsi e prosperare sempre più, espandendo la propria influenza e allargando il circuito ad altri disposti a entrarvi, in un circolo vorticoso di illegalità crescente.
L'importanza di questo racconto, peraltro già all'epoca attualissimo, apparve chiara negli anni successivi, pervasi da un malessere sociale e da una profonda crisi delle istituzioni, culminati con Tangentopoli e la crisi della Prima Repubblica, ma proseguiti anche poi,
Tanti discorsi sulla "corruzione sistemica", sulla "dazione morale", sui rapporti tra corruzione e concussione, che tanto hanno affaticato i giuristi, al pari di quelli, ad esempio, sul "concorso esterno in associazione mafiosa", erano stati colti e anticipati nella loro essenza e nel loro sviluppo proprio da Calvino.
Allo stesso modo e con altrettanta sensibilità, egli aveva percepito il silenzio degli onesti, del popolo che rispetta le leggi per convinzione, per educazione, o per abitudine, e che paga le tasse.
Aveva, poi, prefigurato il loro lento trasformarsi da maggioranza in minoranza, il loro scivolare in una rassegnazione quieta e muta di fronte all'opportunismo di tanti, che preferivano adeguarsi al sistema dominante, e alla rabbia di qualcuno, che quel sistema combatteva, ma producendo in realtà il risultato di rafforzarlo ulteriormente e addirittura di legittimarlo.
Aveva anche profetizzato che in un tale clima di illegalità diffusa le organizzazioni criminali e mafiose avrebbero prosperato, sino a divenire parte integrante di quel sistema.
E' quel che è accaduto, purtroppo, negli ultimi anni. La situazione è sotto gli occhi di tutti.
C'è anche un accenno all'ingiustizia verso chi paga fedelmente le tasse, per vederle poi sperperate in impieghi di denaro pubblico sfacciatamente rivolti ad arricchire i furbi partecipi di quel sistema di corruzione e favori illeciti. Eppure, anche avendo coscienza di ciò, quegli onesti continuano a versare i tributi richiesti anziché ribellarsi a chi in mala fede glieli impone.
Le leggi non bastano quando c'è modo di aggirarle e quando chi dovrebbe farle rispettare non interviene con energia e decisione, sembra dire Calvino.
Le norme giuridiche non sono sufficienti ad arginare un certo senso di presuntuosa superiorità morale, che pervade proprio le classi egemoni e i centri di potere. Quante volte abbiamo sentito, anche nelle aule giudiziarie, pseudo giustificazioni morali del tipo: "Non prendevo soldi per me, ma per il partito"? Calvino stigmatizza l'arroganza del potere che si confeziona la sua giustizia su misura, a suo uso e consumo, per legittimare qualunque scopo, anche e soprattutto quelli illeciti.
Oltretutto, anche il sistema giudiziario, nei pochi casi in cui riesce a intervenire contro la corruzione endemica, è tacciato di collusione, o di agire per finalità politiche, nell'ambito di una lotta partitica (anche qui: quante volte abbiamo sentito invettive contro le "toghe rosse" e contro le ambizioni personali di certi magistrati?) : un'accusa che mina alla radice l'idea di giustizia che gli organi giudiziari dovrebbero impersonare.
In questo modo, le leggi vengono sempre più utilizzate come schermo di facciata per coprire e lasciare impunite le illegalità sostanziali e le ingiustizie commesse in danno di chi non appartiene, non partecipa e non è collegato ai sistemi dei poteri forti.
Ma, nonostante questo sfacelo, la visione dello scrittore appare profondamente ottimista, almeno nel lungo termine (quanto sia lungo, non è dato saperlo): gli onesti, comunque, esistono, resistono, ci sono, e sono irriducibili al sistema, alla sua logica ed ai suoi compromessi. E lo fanno nonostante il vento contrario, le difficoltà di vita, le prese in giro dei furbi verso loro fessi (questo termine Calvino non lo usa mai, anche se lo lascia velatamente intendere, nella prospettiva dei disonesti), e il dominio dell'illegalità diffusa che sembra non lasciare speranze.
In tutto questo, gli onesti sono eroi non per merito, ma loro malgrado, per essere normali in un sistema abnorme. E con la loro pur rarefatta e tranquilla presenza, diventano una spina nel fianco per i corrotti al potere: nonostante abbiano tutte le risorse, non riescono a eliminarli, a dissolverli, a illuderli, o a renderli loro compartecipi.
Alla fine, questi onesti, anche se non organizzati tra loro, diventano una "controsocietà dissimile", minoritaria ma essenziale. Perchè essenziale? Per i valori che essi incarnano: pur se timidamente, a margine, e in un ruolo fatalmente subalterno allo strapotere esercitato da corrotti e criminali, coalizzati in un sistema di potere consolidato e divenuto egemone.
E così, in quella società malata, quei pochi, o tanti, onesti rimasti avrebbero "finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti,
per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato
ancora detto e ancora non sappiamo cos’è".
Vale a dire: essi, attraverso l'onestà in cui vivono, incarnano l'idea di giustizia. Fastidiosa, ma insopprimibile, e valida per tutti e sempre, a prescindere da chi se ne discosta e sembra vincere nelle particolari e pur numerose contingenze dei momenti storici.
Quella giustizia non lontana ma presente, seppur impalpabile, e che non riesce a manifestarsi nella realtà concreta; eppure da qualche parte c'è.
Del resto, l'onestà consiste nel rispetto delle regole; in una prospettiva statuale, delle leggi. E le leggi, a cosa dovrebbero tendere? Alla giustizia, appunto. Ma spesso non lo fanno, e addirittura sono utilizzate per coprire le ingiustizie. Ma in tutto questo, gli onesti, anche se rimangono in pochi, soltanto una frangia, continuano a rispettare le regole sociali e giuridiche.
Ma ora basta coi miei commenti: leggete direttamente il racconto, e potrete constatare quanto la buona letteratura può offrire al diritto per interpretare i fenomeni sociali, per tutelare le ragioni dei deboli contro le prevaricazioni dei forti, e per orientare l'applicazione delle leggi verso la giustizia vera.
Download pdf: Apologo sull'onestà nel paese dei corrotti
Download pdf: Apologo sull'onestà nel paese dei corrotti
Il libro in cui è inserito è: Italo Calvino - Romanzi e racconti - Vol. 3 . ed- Mondadori, 2005
Commenti
Posta un commento