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Komorebi

La luce che filtra tra gli alberi

Come la letteratura illumina il diritto

Komorebi è una parola giapponese che non esiste in italiano; esprime quell'effetto particolare che fa la luce del sole quando filtra tra le foglie degli alberi.

 

Noi non abbiamo un nome per esprimere questo concetto: i giapponesi, più sensibili ai fenomeni naturali e allo stupore che deriva dalla loro contemplazione, sì.
Ogni lingua è uno specifico modo di intendere il mondo e dunque di rappresentarlo.

Ogni lingua sviluppa quei termini che osserva, dei quali deve comprendere il funzionamento o il significato, o cogliere l'essenza, e che comunque ha bisogno di indicare e descrivere. A noi, per definire la neve, basta dire "neve"; gli esquimesi, che in mezzo alla neve vivono, e per i quali dunque essa rappresenta l'imprescindibile ambiente naturale, hanno decine di parole diverse. A loro volta, i beduini del deserto hanno una gamma di parole altrettanto vasta per descrivere la sabbia.

Il fatto è che ogni linguaggio è fortemente influenzato sia dalle necessità cognitive, sia dagli interessi - pratici o speculativi che siano - della comunità che lo parla. Più controversa, invece, è la questione se i processi cognitivi di un individuo, o di un gruppo, siano o meno - e se sì, in che misura - influenzati dalla lingua di riferimento.

Elias Canetti, a proposito di questa diversità nel mondo di lingue e di vocaboli, che non è così ovvia, ha fatto notare la sottile implicazione che "per le stesse cose ci sono nomi diversi; e questo dovrebbe far dubitare che non siano le stesse cose".

Siccome noi italiani non abbiamo un nome, bensì una perifrasi, per descrivere il fenomeno del komorebi (a proposito: si pronuncia come si legge, solo con l'accortezza di tenere la "o" e la "e" un pochino strette: per chi vuole ascoltare la pronuncia esatta, qui ), proviamo a visualizzare qualche altra immagine dello splendido fenomeno, e vediamo se riusciamo a calarci nello stesso spirito con cui lo osserva naturalmente un nativo giapponese. Vi dirò tra poco perché ritengo questo piccolo esercizio così importante.

Per aiutare la memoria, se abbiamo fatto qualche picnic nei boschi, o gita in montagna, o semplicemente siamo stati stesi sotto un gruppo di alberi anche in una villa cittadina, proviamo a immergerci in un paesaggio del genere :


... sentiamoci presenti in esso, al punto di cogliere anche la presenza di insetti, formiche, mosche, se vogliamo, e immaginiamo di questo scenario la quantità infinita di variazioni, nel tono, nella luce, nella prospettiva, nella distanza o meno degli alberi, nel tipo delle foglie .... ad esempio fino a vederlo da com'era prima a così:


Fatto? Chi voglia approfondire il "viaggio" non ha che da chiudere gli occhi e esplorare nei propri ricordi o, meglio ancora, nella propria fantasia; oppure ricorrere alla semplice ricerca di google immagini con la parola komorebi, che ne restituirà un'infinità.

A proposito, proprio facendo io stesso questa ricerca mi sono imbattuto in questo blog di letteratura e poesia, che non conoscevo. E'' stata una piacevolissima scoperta: "parlare agli alberi" va al di là della mia immaginazione, che credevo ricca e irrobustita dall'esercizio del komorebi nel bosco, e invece... c'è sempre un oltre, e un oltre fino all'infinito. 
Oltre alle immagini, mi hanno colpito anche i pensieri ivi riportati, sia dell'autrice sia di Pierluigi Cappello, poeta friulano, impegnatissimo anche nell'insegnamento, ci ha lasciati un mese fa - è morto cinquantenne il 1 ottobre scorso - e in particolare questo: 


Mi ha fatto riflettere. Noi giuristi abbiamo mai assistito a una lezione dove l'insegnante ci abbia invitato a chiudere gli occhi e a scavare i significati di un termine, più o meno impegnativo, delle nostre materie? Non dico i più profondi e filosofici: onestà, virtù, giustizia, colpa, ma anche quelli più tecnici e comunque densi di significati e implicazioni: contratto, reato, obbligazione, vendita, furto, truffa, autonomia, privacy....

Ci siamo concentrati, invece, sempre e solo sulle definizioni, purtroppo. Appiattendoci su quelle proposteci, imparando a ripeterle e a metabolizzarle come si può metabolizzare un sasso, dunque senza digerirlo e assimilarlo.

Abbiamo difficoltà a entrare in simbiosi con gli elementi del nostro mondo giuridico. E la difficoltà si accentua con gli anni di pratica, dove la nostra conoscenza viene giorno per giorno avvelenata dal tecnicismo, appiattita sulle necessità pratiche, sbiadita per la mancanza di un aggiornamento capace di attingere ai fondamentali.

Per un letterato, parole naturali come albero, luce, bosco, neve, evocano un mondo, aprono un'infinita gamma di sensazioni e possibilità in cui si muovono, agiscono, pensano, vivono, soffrono, amano e muoiono i personaggi. C'è una ricchezza di significati straordinaria. Da qui, o più precisamente dal sapervi attingere, deriva la fertilità dell'arte in generale e delle opere letterarie in particolare.

Vorrei che la letteratura fosse per il fitto bosco giuridico come il komorebi, come quella luce che filtra tra gli alberi; e vorrei che fosse capace di restituire le stesse emozioni a chi si affaccia e addentra nel panorama di norme, dottrina, giurisprudenza e prassi. Vorrei che ci fosse sempre la delicata ma forte luce dei principi a illuminare il terreno che percorriamo quando analizziamo i nostri casi e proponiamo, sosteniamo e difendiamo le nostre interpretazioni, che hanno la pretesa di divenire soluzioni e quindi verità. Giudiziaria, dunque non assoluta: ma pur sempre ed appunto una forma di verità, accettata, rispettata (più o meno), riconosciuta e condivisa.

A chi mi dirà che è un sogno, risponderei: chiudi gli occhi, e guarda la luce che filtra dagli alberi. 

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